Autism Spectrum Disorder (ASD)
Secondo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition (DSM-5), il disturbo dello spettro autistico (ASD) è una condizione ad esordio precoce, prevalentemente di durata per tutta la vita, caratterizzata da deficit persistenti nelle abilità di comunicazione sociale (inclusa la reciprocità socio-emotiva, la comunicazione non verbale e lo sviluppo/mantenimento delle relazioni) e da comportamenti ristretti e ripetitivi (inclusi stereotipie, insistenza sulla somiglianza, interessi altamente ristretti e fissati, e anomalie sensoriali). I sintomi sono presenti fin dalle prime fasi dello sviluppo e causano significative compromissioni nel funzionamento sociale e occupazionale. I sintomi dell’ASD non sono meglio spiegati da una disabilità intellettiva o da un ritardo globale dello sviluppo, e questo è un concetto molto importante per evitare di confondere queste condizioni. Tuttavia, l’ASD spesso coesiste con la disabilità intellettiva; diagnosi comorbide di ASD e disabilità intellettiva sono possibili solo quando le abilità di comunicazione sociale sono inferiori a quelle attese in relazione al livello di sviluppo generale. Secondo il DSM-5, sono stati stabiliti 3 livelli di gravità dell’ASD: livello 1 (che richiede supporto), livello 2 (che richiede supporto sostanziale) e livello 3 (che richiede un supporto molto sostanziale). La scelta fatta nel DSM-5 di cancellare la suddivisione nelle 5 categorie diagnostiche stabilite dal DSM-IV (disturbo autistico, disturbo di Rett, disturbo disintegrativo dell’infanzia, disturbo di Asperger e disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato), unificando tutto sotto il termine ASD, non è stata priva di critiche, e si spera che venga corretta nella prossima edizione del DSM. Nonostante vari tentativi di trovare un marcatore biologico, oggi la diagnosi di ASD si basa ancora esclusivamente su criteri clinici. Da una prospettiva storica, la maggior parte degli autori attribuisce fino ad oggi i primi rapporti sui bambini con autismo a Leo Kanner (1943) e Hans Asperger (1944, ma in realtà, la prima a descrivere questa condizione in una rivista scientifica fu una donna, Grunya Efimovna Sukhareva, che nel 1926 riportò 6 casi di ragazzi con autismo (che oggi verrebbe definito “ad alto funzionamento”), fornendo molti dettagli clinici, incluse le anomalie sensoriali, che hanno acquisito il loro giusto peso solo nella descrizione dell’ASD nel DSM-5.
Per quanto riguarda l’eziopatogenesi dell’ASD, mentre in passato prevalevano le teorie psicogenetiche, oggi sappiamo che l’ASD è una condizione con una base neurobiologica. L’eziologia è multifattoriale ed è caratterizzata da un’interazione tra fattori genetici e ambientali (“Autism spectrum disorder in 2023: A challenge still open,” 2023).
Il Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) è una condizione neuroevolutiva caratterizzata da difficoltà nell’interazione sociale e nella comunicazione, nonché dalla presenza di interessi ristretti e comportamenti ripetitivi. Dati recenti indicano che un bambino su 44 negli Stati Uniti e un bambino su 160 a livello internazionale riceve una diagnosi di ASD. Fondamentale per una diagnosi accurata e una pianificazione terapeutica appropriata è un approccio alla valutazione basato su prove.
Criteri Diagnostici del Disturbo dello Spettro Autistico nel DSM-5
A) Sfide nella comunicazione e interazione sociale:
Deficit nella reciprocità socio-emotiva
Deficit nei comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l’interazione sociale
Deficit nello sviluppo, mantenimento e comprensione delle relazioni
B) Comportamenti ripetitivi o stereotipati:
Movimenti motori stereotipati o ripetitivi, uso di oggetti o linguaggio
Insistenza sulla somiglianza, aderenza inflessibile alle routine o schemi ritualizzati di comportamento verbale o non verbale
Interessi altamente ristretti e fissati che sono anormali per intensità o focus
Iper- o ipo-reattività agli stimoli sensoriali o interesse insolito per aspetti sensoriali dell’ambiente Nota. DSM-5 = Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition.
I criteri diagnostici per l’autismo sono evoluti negli ultimi decenni e nelle precedenti edizioni del DSM. I cambiamenti principali più recenti nella diagnosi dell’autismo si sono verificati durante la transizione dal DSM (4ª ed., rev. testo; DSM-IV-TR) al DSM-5. In questo processo di revisione, le diagnosi precedentemente separate (cioè disturbo autistico, disturbo di Asperger, disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato) sono state consolidate in una sola: l’ASD. Inoltre, le tre categorie di sintomi di compromissione sociale, compromissione del linguaggio/comunicazione e comportamenti ripetitivi/ristretti sono state fuse in due domini sintomatici: deficit persistenti nella comunicazione e interazione sociale e schemi di comportamento ristretti e ripetitivi. Questo cambiamento è stato inteso per riflettere lo stato della scienza, che ha rivelato costantemente che i sintomi sociali e di comunicazione/linguaggio nel DSM-IV convergevano su un unico fattore di “comunicazione sociale”. Altri due cambiamenti chiave hanno riguardato l’aggiunta dei sintomi sensoriali (sia ipo- che iper-reattività) all’interno della categoria dei comportamenti ristretti e ripetitivi e l’inclusione di una scala di valutazione della gravità (Livelli 1–3) basata sul livello di supporto necessario per il funzionamento quotidiano negli individui autistici.
A causa della maggiore consapevolezza dell’autismo sia nella popolazione generale che nella comunità scientifica, insieme ai criteri diagnostici ampliati, alcune persone ricevono una diagnosi per la prima volta in età adulta; questo gruppo è talvolta descritto come la “generazione perduta”. Questi adulti potrebbero essere stati non diagnosticati o mal diagnosticati quando erano giovani. L’identificazione iniziale dell’autismo in età adulta è difficile per vari motivi, come la mancanza o l’inaccuratezza della storia dello sviluppo precoce, le abilità sviluppate per mascherare le difficoltà sociali e altre possibili comorbidità psichiatriche, potenzialmente più debilitanti. Diagnosticare l’autismo in tarda età è ancora più difficile, per ragioni simili. Sebbene la consapevolezza dell’identificazione dell’autismo in età adulta sia migliorata negli anni, e ci sia stato un aumento della ricerca sull’autismo focalizzata sulle popolazioni più anziane, il supporto agli individui nello spettro durante tutto il loro ciclo di vita richiede uno sforzo continuo. Gli individui diagnosticati in età adulta hanno maggiori probabilità di riportare condizioni psichiatriche rispetto agli individui diagnosticati durante l’infanzia, il che sottolinea la necessità di metodi validi e affidabili per una diagnosi precoce.
La capacità di diagnosticare accuratamente l’autismo è migliorata considerevolmente negli ultimi due decenni, specialmente nei bambini molto piccoli. Questo è stato il risultato diretto di numerose indagini empiriche focalizzate sullo sviluppo e/o l’adattamento di strumenti di valutazione affidabili e validi. Un’implicazione critica della rilevazione precoce è la possibilità di indirizzare i bambini piccoli ai servizi di intervento il prima possibile. In effetti, l’importanza della rilevazione precoce dell’autismo e del successivo intervento precoce è ben documentata. Allo stesso tempo, esistono preoccupazioni valide riguardo ai falsi positivi tra i bambini diagnosticati in età molto giovane. Pertanto, è importante indagare la stabilità della diagnosi (cioè la probabilità che un bambino soddisfi ancora i criteri diagnostici al follow-up) e le traiettorie di sviluppo dei sintomi, che possono avere implicazioni sia scientifiche che cliniche.
La ricerca ha dimostrato che i sintomi dell’autismo iniziano tipicamente a emergere tra i 12 e i 18 mesi di età e che le diagnosi effettuate a 18 mesi sono affidabili e stabili . Numerosi studi hanno dimostrato la stabilità delle diagnosi tra i bambini diagnosticati prima dei tre anni, suggerendo che il tasso di falsi positivi nella diagnosi prima dei 3 anni è relativamente basso. Tuttavia, il tasso di falsi negativi è più alto. In uno studio longitudinale in cui sono state condotte valutazioni diagnostiche seriali, quasi la metà dei bambini diagnosticati con autismo all’età di 3 anni non soddisfaceva i criteri diagnostici a 24 mesi e un piccolo gruppo di bambini sembra avere sintomi emergenti anche più tardiv; questi bambini non soddisfacevano i criteri all’età di 3 anni ma li soddisfacevano in età scolare (diagnosi tardiva). Questi casi diagnosticati tardivamente sono generalmente eterogenei nelle loro classificazioni di esito precoce (ad esempio, sviluppo tipico, sintomi subclinici) e nel fenotipo. Si ipotizza che l’offuscamento diagnostico da parte di altre condizioni (ritardi precoci nel linguaggio o nella funzione cognitiva; e/o un periodo prolungato di sviluppo dei sintomi possa contribuire alla diagnosi tardiva. Questi risultati suggeriscono la necessità di espandere lo screening e/o la sorveglianza dell’autismo oltre i tre anni di età (Yu et al., 2024).
Stime di prevalenza
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la prevalenza media dell’ASD tra i bambini a livello globale è di circa l’1%. Tuttavia, questa cifra varia significativamente tra regioni e paesi. Ad esempio, i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) riportano che la prevalenza dell’ASD tra i bambini di 8 anni negli Stati Uniti è di 1 su 54. L’ASD è significativamente più diffuso nei maschi rispetto alle femmine, con un rapporto di circa 4:1. Questa differenza di genere può riflettere differenze nella suscettibilità genetica e/o un bias di genere nel processo diagnostico. Una diagnosi precoce è fondamentale per migliorare gli esiti di sviluppo nei bambini con ASD. Nonostante ciò, molti bambini non ricevono una diagnosi entro i 3 anni di età. I CDC riportano che la maggior parte dei bambini viene valutata per l’ASD per la prima volta a 4 anni, ma la diagnosi può avvenire anche più tardi. La ricerca suggerisce che l’ASD è altamente ereditabile, ma molteplici varianti genetiche sono associate al rischio di malattia e anche i fattori ambientali giocano un ruolo. Ad esempio, c’è un rischio aumentato di ASD nei neonati pretermine e con basso peso alla nascita. I fattori socioeconomici influenzano la diagnosi dell’ASD e l’accesso ai trattamenti. Le famiglie con un livello socioeconomico inferiore possono affrontare sfide maggiori, inclusi ostacoli all’accesso ai servizi di intervento precoce, ecc. L’ASD è un problema di salute pubblica globale, e la sua incidenza, il tempo necessario per la diagnosi e l’accesso ai trattamenti sono influenzati da molteplici fattori. La ricerca epidemiologica in corso e l’avanzamento di una comprensione più profonda dell’ASD sono fondamentali per lo sviluppo di interventi efficaci di prevenzione, diagnosi e trattamento (Qin et al., 2024).
In Italia i risultati di uno studio nazionale promosso dal Ministero della Salute e coordinato dall’Osservatorio Nazionale per l’Autismo presso l’Istituto Superiore di Sanità, si è svolto tra il 24 febbraio 2016 e il 23 febbraio 2018, coinvolgendo scuole situate in diverse regioni italiane: nel nord (Lecco e Monza-Brianza), nel centro (Roma e la sua provincia) e nel sud (Palermo e la sua provincia) ha stimato una prevalenza dell’ASD in Italia di 13,4 per 1.000 bambini di età compresa tra 7 e 9 anni, con un rapporto maschio-femmina di 4,4:1 (Scattoni et al., 2023).
Caratteristiche dell’ASD
I disturbi dello spettro autistico (ASD) sono un gruppo di disturbi neuroevolutivi che influenzano le interazioni sociali, le capacità comunicative e i modelli comportamentali degli individui, con notevoli differenze individuali e un’eziologia complessa.
Difficoltà nell’interazione sociale: Gli individui con ASD spesso presentano notevoli difficoltà nelle interazioni sociali. Queste difficoltà possono includere la difficoltà a comprendere i sentimenti e le intenzioni degli altri, a mantenere il contatto visivo e le espressioni facciali, e ad adattarsi alle norme e alle aspettative sociali. Gli individui con ASD possono avere difficoltà a stabilire e mantenere amicizie, a comprendere la natura bidirezionale delle interazioni sociali o a sentirsi a disagio nel condividere interessi e attività.
Disturbi della comunicazione: I deficit nella comunicazione sono un’altra caratteristica fondamentale dell’ASD. Questi possono manifestarsi in ritardi nello sviluppo del linguaggio, inclusi ritardi nell’emissione delle prime parole o delle frasi semplici. Alcuni individui con ASD possono non usare il linguaggio per comunicare affatto. Anche tra coloro che hanno abilità linguistiche normali, può esserci difficoltà nell’usare il linguaggio durante le conversazioni per comunicare pensieri, sentimenti o necessità. Inoltre, la comunicazione non verbale, come la comprensione e l’uso del linguaggio corporeo e delle espressioni facciali, può essere compromessa.
Comportamenti e interessi ripetitivi: Gli individui con ASD spesso mostrano schemi di comportamento e interessi ristretti e ripetitivi. Questi possono includere una forte fissazione su argomenti o attività specifiche, movimenti corporei ripetitivi (ad es. dondolarsi, battere le mani) e una forte dipendenza dalle routine quotidiane. Questi comportamenti ripetitivi sono talvolta visti come un modo per auto-calmarsi o come un tentativo di controllare un ambiente che altrimenti appare imprevedibile e travolgente.
Sensibilità sensoriale: Molti individui con ASD presentano anomalie nel processamento sensoriale e possono avere risposte molto forti o ritardate ai suoni, alla luce, al tatto, al gusto o agli odori. Ad esempio, alcuni individui con ASD possono trovare i rumori di sottofondo nel loro ambiente quotidiano insolitamente intensi, oppure possono non notare il dolore o altre sensazioni corporee (Qin et al., 2024).
Trattamento
Lo sviluppo di tecniche educative cognitivo-comportamentali sempre più avanzate, tra cui le più note appartengono alla terapia dell’analisi del comportamento applicata (ABA), ha migliorato notevolmente la prognosi degli individui affetti da disturbi dello spettro autistico (ASD). L’analisi del comportamento applicata utilizza i principi della teoria dell’apprendimento psicologico per modificare i comportamenti tipicamente presenti nei soggetti con ASD. Negli anni ’70, Ole Ivar Lovaas sviluppò un metodo basato sulla teoria del condizionamento operante di Burrhus Frederic Skinner, con l’obiettivo di modificare i comportamenti e migliorare le interazioni sociali nei bambini con ASD. Negli ultimi 60 anni, l’ABA è cambiata notevolmente, evolvendo in molte pratiche terapeutiche, con l’intento di affrontare i problemi degli individui con ASD in tutti i domini del funzionamento, come la cognizione, le abilità sociali, il linguaggio, le abilità di vita quotidiana e i comportamenti problematici. Oggi, solo una piccola minoranza di questi soggetti esce dallo spettro autistico, ma quasi tutti possono migliorare notevolmente aumentando il loro livello di autonomia. Dopo la diagnosi, il supporto psicoeducativo e spesso anche emotivo è molto importante per i genitori. Diversi altri interventi sono ampiamente utilizzati in tutto il mondo per i bambini con ASD, sebbene le evidenze sulla loro efficacia non siano paragonabili a quelle dell’ABA. Gli interventi di terapia occupazionale, in particolare quelli che utilizzano nuove tecnologie come il computer, hanno mostrato effetti positivi sulle attività della vita quotidiana e sulle abilità sociali. Nel contesto della terapia occupazionale, gli interventi di integrazione sensoriale, in particolare quando si utilizzano i principi proposti da Anna Jean Ayres (ad esempio, adattando le sfide per assicurarsi che siano leggermente oltre il livello di prestazione attuale del bambino), hanno mostrato effetti positivi sulla partecipazione alle attività e alle routine della vita quotidiana. Il Floortime, una terapia basata sulla relazione, ha dimostrato di poter migliorare la comunicazione, il funzionamento emotivo e le abilità di vita quotidiana nei bambini con ASD.
Non esiste una terapia farmacologica per i sintomi principali dell’autismo. Tuttavia, le terapie farmacologiche vengono utilizzate per trattare le comorbidità: ad esempio, la melatonina o (se non efficace) la niaprazina per i disturbi del sonno, i farmaci antiepilettici per l’epilessia (la scelta dei farmaci dipende principalmente dal tipo di epilessia e dai possibili effetti collaterali comportamentali), e il metilfenidato per l’ADHD. Inoltre, la terapia farmacologica viene utilizzata per trattare i comportamenti problematici quando gli interventi cognitivo-comportamentali non hanno prodotto risultati adeguati. In queste situazioni, i neurolettici atipici (ad esempio, risperidone e aripiprazolo) sono attualmente i farmaci più comunemente utilizzati. Infatti, basandosi su una recente revisione sistematica e meta-analisi dei farmaci antipsicotici nell’autismo, ci sono alcune evidenze di effetti favorevoli del risperidone e dell’aripiprazolo sull’irritabilità e sull’agitazione nei bambini con ASD. Tuttavia, è importante sottolineare che il ricorso alla farmacoterapia dovrebbe avvenire solo quando c’è una reale necessità e, se possibile, per periodi di tempo limitati.
Basandosi sull’ipotesi che i bambini con ASD abbiano livelli aumentati di metalli pesanti sistemici che interferiscono con il loro sviluppo neurologico e portano all’autismo, in molti di questi pazienti è stata tentata la terapia chelante utilizzando un agente che si lega al metallo pesante in eccesso, causando la sua escrezione. Tuttavia, mancano studi clinici su questa terapia nell’ASD. Basandosi sui dati della letteratura, non ci sono evidenze dell’efficacia della terapia chelante nell’ASD, la quale è associata a effetti collaterali molto gravi e potenzialmente letali, come le aritmie cardiache e l’ipocalcemia.
Emergono risultati interessanti riguardo alla terapia dietetica. Una recente revisione sistematica e meta-analisi suggerisce che le terapie dietetiche (inclusi diete chetogeniche, diete prive di glutine e diete prive di glutine e caseina) possono avere effetti favorevoli anche sui sintomi principali dell’ASD. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi clinici di alta qualità.
Durante l’infanzia, il fattore prognostico più importante per il risultato a lungo termine sembra essere il funzionamento intellettuale: più alto è il quoziente intellettivo, migliore è l’evoluzione a lungo termine. Anche la presenza di linguaggio verbale (sebbene atipico) entro i 5-6 anni di vita appare essere un fattore prognostico favorevole. Purtroppo, circa il 25%-30% degli individui affetti sviluppa poche o nessuna abilità verbale; vengono chiamati “minimamente verbali” e di solito mostrano un esito a lungo termine sfavorevole. Il grave deficit nelle abilità comunicative (verbali e non verbali) è molto spesso alla base dei comportamenti problematici sopra menzionati. Anche per questo motivo, fornire precocemente a individui non parlanti mezzi alternativi di comunicazione, come la comunicazione aumentativa e alternativa, è di fondamentale importanza (“Autism spectrum disorder in 2023: A challenge still open,” 2023).
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